DISCORSO DEL PRIMO AGOSTO

Care cittadine, cari cittadini,
un anno fa, festeggiando i 150 anni dello stato federale, si ricordava con soddisfazione che la Svizzera ha al suo attivo due secoli senza guerre con altri paesi e uno sviluppo economico che ha trasformato un paese povero in un paese ricco, fra i più ricchi al mondo.
Una Svizzera cresciuta democraticamente ed economicamente, non estranea però ai mutamenti sociali e culturali di questa fine secolo, ai processi di globalizzazione, alle migrazioni intercontinentali.
Una Svizzera che alle soglie del Duemila deve cogliere le sfide attuali e tramutarle in progetti collettivi, innovativi e durevoli, improntati alla giustizia sociale e alla pacifica fortunata convivenza in una società sempre più aperta.
Una Svizzera - possiamo ben dirlo ed essere fieri - fortunata, in un mondo purtroppo ancora segnato da estrema miseria, da conflitti, da crimini contro l’umanità.
Anche la Svizzera neutrale ha però dovuto fare i conti con il proprio passato: la vicenda dei beni ebraici e dell’oro nazista, i rapporti con il regime dell’apartheid.
Anche la Svizzera delle certezze ha dovuto affrontare una crisi economica che ha lasciato il segno nella società. In questo decennio quasi 900 mila persone hanno dovuto essere aiutate dall’assicurazione disoccupazione. 200 mila bambini vivono nella povertà, la gran parte figli di salariati che guadagnano troppo poco per i bisogni del nucleo famigliare.
Oggi, primo agosto 1999, a pochi mesi dal Duemila, possiamo legittimamente chiederci quale sarà la Svizzera del Terzo millennio, possiamo riflettere insieme su che cosa vogliamo per il futuro del nostro Paese.
Personalmente credo che dobbiamo avere un progetto collettivo per la Svizzera del Terzo millennio. Un progetto di società che non è solo la somma di progetti individuali: se in un’orchestra ognuno suona per conto suo, il risultato è assordante. Per avere l’armonia, è assolutamente necessario concepire un progetto di società concreto pensando alla collettività, non solo alla nostra vita individuale. Un progetto di consenso, che sappia andare oltre gli steccati ideologici, un progetto per una Svizzera democratica, solidale, aperta.
Un progetto attorno al quale discutere tutti insieme, che coinvolga tutti, cittadini e politici, un progetto di dialogo e di costruzione che ci faccia sentire partecipi.

Una Svizzera democratica.
In questo Paese nessuno deve tacere: tutti hanno il diritto e la libertà di esprimersi, i cittadini quanto i politici. Da anni purtroppo nelle consultazioni popolari federali si esprime solo il 30-40% dei cittadini. I politici non devono tacere, come chiede un’iniziativa in circolazione, devono parlare molto di più, ma non fra di loro, ma ai cittadini e con i cittadini. La democrazia oggi non è solo partecipazione ma è anche comunicazione.
Attraverso la comunicazione - ben inteso senza forzature - bisogna coinvolgere chi se ne sta in casa, in silenzio, per disinteresse alla cosa pubblica o per protesta.
A comunicare dobbiamo essere noi - cittadini attivi e politici - noi che questa sera abbiamo sentito il bisogno di stare insieme il Primo Agosto. Noi dobbiamo per primi riuscire a trasmettere a chi non si interessa che vale la pena di battersi perché la Svizzera non perda il suo alto (e invidiato) livello di democrazia diretta.
Non possiamo affidare la rivitalizzazione della nostra democrazia unicamente ai nuovi e performanti mezzi di comunicazione.

Una Svizzera solidale.
Oggi la solidarietà ha molte dimensioni, si manifesta fra persone, fra comuni, fra popoli, dentro e fuori i confini del nostro paese. Sarebbe bello globalizzare soprattutto la solidarietà!
Se vogliamo parlare di solidarietà entro i nostri confini - ben inteso senza chiusure, senza esclusioni, senza razzismi - ci sono almeno due progetti che vorrei condividere con voi: la solidarietà nello stato sociale e la solidarietà intergenerazionale.
Lo stato sociale va ripensato e adattato ai nuovi bisogni di una popolazione più instabile nei modi di vita, che rifonda delle famiglie, che cambia lavoro e domicilio più volte nella vita. Alla maggior mobilità delle persone non possiamo contrapporre un sistema sociale immobile. Se non avessimo la forza di costruire un consenso attorno ad un ripensamento della stato sociale che tenga conto dei mutamenti della società, rischieremmo di soffocare la solidarietà tra le persone, lasciando senza risposta sofferenze e disgrazie individuali. Se invece questa forza la troveremo, allora sì che la Svizzera del terzo millennio potrà sviluppare una socialità fondata sul diritto all’inserimento, un diritto ben più ampio di quello ad una semplice rendita, un diritto di cittadinanza e di dignità.
Un importante fattore di coesione sociale e di crescita civile.
La solidarietà intergenerazionale è un altro ingrediente essenziale della coesione sociale. E’ il principio che ha permesso di costruire per esempio il sistema AVS, colonna portante del nostro sistema di previdenza sociale. Ma non solo. Oggi in una società con una forte componente di persone con più di 65 anni, in buona salute, cariche di vitalità e con prospettive di vita prolungate rispetto al passato, è tempo di modificare il nostro modo di considerare la terza e la quarta età.
Nell’anno internazionale dell’anziano credo sia importante gettare il seme di una nuova cultura, la cultura della solidarietà intergenerazionale, una cultura che sappia valorizzare le esperienze e le risorse di questa fascia di popolazione che giustamente ha lasciato la vita attiva come atto di solidarietà verso le giovani generazioni che faticano a trovare un posto di lavoro, ma che ha ancora tanto da dare. Tanto da dare, ma in modo diverso, nel volontariato come nella famiglia.
Una cultura che sappia sviluppare un dialogo fra le generazioni, proprio come quello che si instaura fra nonni e nipotini.
Solidarietà intergenerazionale vuol dire anche guardare al futuro, al futuro dei nostri figli. Vuol dire percorrere le strategie di sviluppo sostenibile e durevole; operare per una ridistribuzione più giusta delle risorse, senza depredare le risorse del Pianeta; ricercare equilibri ambientali e di giustizia sociale; perseguire anche obiettivi di pace.

Una Svizzera aperta
Siamo alle porte di un dibattito parlamentare sugli accordi bilaterali con l’Unione europea. La libera circolazione delle persone e delle merci rappresenterà un cambiamento enorme. Siamo testimoni e attori di una sfida che ci offre nuove opportunità ma anche nuovi rischi.
Un atteggiamento rinunciatario e di chiusura non ci permetterebbe di crescere, l’isolamento soffocherebbe le nostre potenzialità.
Il nostro piccolo paese non può chiudersi a riccio entro un territorio esiguo, arroccarsi attorno alle nostre Alpi, fingere che attorno non succeda nulla. L’isolamento non porterebbe nulla di buono alla Svizzera e ai suoi abitanti. Una Svizzera aperta sull’Europa, dotata di adeguati air-bag, è invece una chance per il nostro futuro.
Chiasso, i comuni del Mendrisiotto questo lo sanno!

Care cittadine, cari cittadini,
affinché la Svizzera del Terzo millennio possa godere di quel benessere e di quella stabilità che hanno finora caratterizzato il nostro Paese, vi invito a costruire insieme un progetto di Svizzera democratica, solidale e aperta, vi invito a parteciparvi con le vostre energie, con le vostre idee e con la vostra solidarietà.

Patrizia Pesenti
Consigliere di Stato

Chiasso, 1. agosto 1999