Gentili signore, egregi signori,
ringrazio con piacere per il cortese
invito che mi è stato rivolto di assistere ai lavori assembleari
della FTAM, perché questo, da un lato, mi permette di prendere visione
dal vivo del funzionamento della Federazione, ma dall’altro mi consente
anche di rivolgere un messaggio ai partner del sistema sanitario, oggi
tutti rappresentati in questa sede.
Nel nostro Paese conosciamo fortunatamente
uno dei migliori sistemi sanitari al mondo.
Infatti il nostro sistema sanitario
si contraddistingue per:
la qualità intrinseca nell’azione di sostegno verso la popolazione meno sana;
la democraticità d’accesso - fattore, quest’ultimo, non certo di poca rilevanza -: oggi ogni cittadino, indipendentemente dalla sua situazione economica, può ottenere ogni cura che sia consona ed efficace nei confronti dei suoi malanni, anche quelli più gravi, a partire da indiscutibili criteri di qualità.
Tutto questo rappresenta un valore civile
ragguardevole e non solo un alto fattore sanitario.
Le due direttrici che determinano
poi il funzionamento del nostro sistema sanitario costituiscono pure valori
indiscutibili di civiltà:
da un lato il principio cardine della solidarietà, con particolare senso di sostegno nei confronti della popolazione che soffre e che è economicamente debole;
dall’altro il contesto di medicina liberale proprio della nostra società, il che rende il settore certamente più vicino alla popolazione rispetto ad un sistema improntato solo su rigide - e magari anche fredde - regole centralistiche.
Sovente oggi si ha invece la tendenza
a marcare gli aspetti negativi del nostro sistema sanitario, accentuando
in particolare il problema dei costi o l’oggettiva difficoltà di
controllo dell’espansione del settore.
Sembra quasi che tutto stia per
crollarci addosso dall’oggi all’indomani.
E’ certamente sbagliato minimizzare
i problemi – soprattutto quelli dei costi -, ed altrettanto sbagliato autoflagellarsi.
L’obiettivo dovrebbe essere invece
– e questo è il senso del messaggio che oggi intendo rivolgere
ai partner sanitari – quello di creare un alto tasso di fiducia
verso questo bene civile e sociale che rappresenta il nostro sistema sanitario,
contraddistinto non da un’entità ben distinguibile e a sé
stante, ma da varie componenti: la popolazione tutta, i fornitori di prestazioni,
gli assicuratori malattia e lo Stato.
Come già si diceva, il nostro
sistema sanitario rappresenta un bene che costa: questo è fattore
indubbio.
L’ultimo studio dell’Ufficio federale
di statistica indica che la spesa sanitaria nel suo complesso - quindi
non solo quella legata all’assicurazione sociale malattie - si eleva al
10.2% del PIL. Siamo al terzo posto, dopo gli Stati Uniti e la Germania.
E', questo, un dato che oggettivamente
deve richiamare ogni nostra attenzione individuale, collettiva, oltre che
collegiale: un’incidenza dei costi oltre il 10% del PIL non è
infatti agevole da sopportare, soprattutto in prospettiva (anche se tutti
noi ci auguriamo un incremento del PIL).
Non è un fenomeno solo di
questi nostri giorni: soprattutto già a partire degli anni 80 la
progressione dell’incidenza della spesa sanitaria sul PIL si faceva sentire,
ma allora tutto veniva mitigato da una congiuntura in espansione che marcava
i suoi effetti anche dal profilo di una progressione del potere d’acquisto
individuale.
Oggi invece, complice una congiuntura
improntata alla stagnazione, il problema lo si avverte in maniera molto
più marcata ed appariscente.
La conseguenza è che il peso
del finanziamento, in un contesto di riduzione - o quanto meno di non incremento
- delle entrate individuali è di certo più tangibile rispetto
ad una decina di anni or sono.
E il finanziamento del sistema sanitario
pesa integralmente sulle spalle del cittadino: sia attraverso le imposte
che attraverso i contributi verso gli assicuratori malattie.
Solo mediante un sapiente ed oculato
dosaggio di queste due componenti si potrà ottenere quel necessario
consenso collettivo verso il sistema in sé.
Ed è vero che oggi i premi
assicurativi e le partecipazioni si avvertono maggiormente rispetto alle
imposte, perché:
costituiscono spese ricorrenti,
sono definiti in modo uniforme per tutti i cittadini all’interno del medesimo assicuratore. E’ di ieri la decisione del Consiglio federale di non introdurre premi proporzionali al reddito.
Soprattutto quest’ultimo fattore richiama
ad uno sforzo non certo indifferente da parte dell’ente pubblico al fine
di mitigare il peso economico del premio assicurativo sulle fasce meno
abbienti di popolazione.
Nel Cantone Ticino, per l’anno 2000,
l’onere per il sostegno alle fasce meno fortunate di popolazione sfiora
il tetto dei 170 milioni di franchi (143 milioni per i sussidi collettivi
e 24 milioni per sgravi fiscali cantonali mirati a contenere gli effetti
del premio per le fasce medie e medio-basse di popolazione).
La parte dei premi è determinata
dalla fetta dei costi non coperti attraverso le imposte o le partecipazioni
individuali.
E i costi in sé sono determinati,
da un lato, dal numero di atti e dall’altro dalle tariffe.
Vorrei ora esprimere qualche riflessione
circa l’aspetto delle tariffe.
La legge prevede che in via ordinaria
siano i partner a definire gli aspetti tariffali e non lo Stato attraverso
una decisione esterna e d’imperio.
Cosa significa questo?
Significa che il Legislatore ha
chiaramente inteso privilegiare, in un sistema assai simile alle regole
del mercato economico, la concertazione tra le parti, rispetto ad un intervento
forse più scientifico, ma nel contempo anche dirigistico, dello
Stato.
Lo Stato è poi chiamato in
causa solo in un secondo tempo, in sostanza in un ruolo di garante dell’equità
di una tariffa concordata tra le parti.
Se nel Legislatore fosse prevalso
il criterio di scientificità pura, tutto l’assetto tariffale sarebbe
stato regolato dallo Stato (come lo è per i medicamenti, per la
maggior parte delle analisi, per i mezzi e gli apparecchi).
Così non è: il Legislatore
ha voluto privilegiare le discussioni tra le parti, la contrattazione e
la concertazione: ossia ambiti dove chiaramente deve prevalere il buon
senso.
Personalmente mi adopererò
affinché abbia a prevalere tra le parti questo buon senso che, accompagnato
da un clima di serenità, può certamente contribuire ad un’iniezione
di fiducia nel cuore stesso del sistema.
Buon senso, per antonomasia, significa
propensione al dialogo, significa ricercare compromessi intelligenti, ma
non significa certo ostinazione nel difendere ad oltranza solo le tesi
di parte.
Se le parti tirano la corda al punto
di creare rotture, lo stato di tensione non potrà che trasmettersi
alla popolazione, la quale reagirà con sfiducia e non sarà
di conseguenza propensa ad accogliere pienamente i messaggi provenienti
dall’Autorità cantonale nel senso di un accesso moderato e razionale
al consumo medio-sanitario.
Le attuali direttrici del DOS nei
confronti del contenimento dei costi della malattia si muovono infatti
in tre direzioni: il tutto all’insegna della razionalità e non certo
del panico in ragione dei costi (oggi infatti mi sentirete citare ben poche
cifre!).
Un’azione, quella del DOS:
verso i cittadini, affinché siano maggiormente attenti e responsabili dal profilo del consumo di atti medico-sanitari;
verso i medici, raccomandando di limitare le cure allo stretto necessario;
verso gli assicuratori, chiedendo da un canto di partecipare pienamente alla costruzione del sistema di solidarietà proprio della LAMal, e dall’altro di collaborare nella creazione di quella trasparenza nei costi estremamente indispensabile al fine di poter pianificare gli stessi interventi dell’Autorità (a tutt’oggi non sappiamo quanto si spende annualmente per la malattia - assicurazione obbligatoria di base - esattamente dal 1° gennaio al 31 dicembre!).
Dal canto suo lo Stato interviene a
regolare il sistema, in particolare di questi tempi attraverso la pianificazione
ospedaliera.
Anche qui l’intervento deve essere,
sì, efficace, ma per essere accolto e fatto proprio dalla popolazione
deve essere frutto di una grande e paziente opera di concertazione; il
tutto nella consapevolezza che non si potrà realizzare all’insegna
massimalista del "tutto e subito".
Anche in questo contesto l’ottimo
è il peggiore nemico del buono.
Personalmente voglio - e mi batterò
sempre - per un sistema sanitario di qualità, a costi sopportabili,
e non certo per un sistema sanitario a prezzi stracciati, ma di piccolo
cabotaggio, di qualità scadente e ben poco democratico dal profilo
dell’accesso.
Un sistema sanitario - quello per
il quale propendo - contraddistinto da un clima in cui i partner abbiano
a parlarsi seriamente, sì, ma anche serenamente, nella piena consapevolezza
che le soluzioni definitive non le detiene a priori nessuno, ma potranno
scaturire man mano da una vera azione comune.
Solo attraverso l’aperta e fattiva
propensione al dialogo ci si potrà muovere nella giusta direzione,
nel vero interesse dei cittadini, perché sono proprio quest’ultimi
i destinatari del nostro sistema sanitario.
Il tutto nella piena coscienza che
in un clima di fiducia generale potremo costruire molto, mentre
in un clima di sfiducia - latente o manifesta che sia - si potrà
solo distruggere il tutto.
E allora il prezzo da pagare sarà
altissimo.
Non vuole essere, quest’ultimo,
un monito, bensì un messaggio di grande speranza verso quel buon
sistema sanitario oggi possiamo fregiarci di conoscere, e nei confronti
del quale dovremmo dunque mettere in atto tutte le migliori strategie possibili
per poterlo mantenere nelle sue prerogative.
Patrizia Pesenti
Consigliere di Stato