Allocuzione del Primo Agosto 

Mendrisio, 01.08.2001


 

"Non è un caso che gli svizzeri hanno una celata paura del futuro, viviamo senza un piano per il futuro, senza un progetto per la Svizzera del futuro."

È una frase di Max Frisch, uno scrittore svizzero che ha molto riflettuto sull'identità svizzera e gli svizzeri.

La festa del primo agosto per me è una occasione speciale per riflettere sulla Svizzera, sul rapporto del Ticino nei confronti della Svizzera, sul ruolo della Svizzera nel mondo.

Cosa significa celebrare la festa nazionale?

Che significato ha oggi?

Quanto ci sentiamo svizzeri e in che modo?

La Svizzera non è un semplice dato naturale, non ci sono confini naturali che delimitano il nostro territorio. Non siamo un'isola, non ci sono montagne che fanno da confine, non ci sono fiumi a tracciare una regione. Geograficamente la Svizzera non esiste. Il Ticino ha un confine a Nord che è molto più marcato dalla natura che non a sud. Non ci sono laghi che delimitano il nostro territorio, anzi i laghi sono in comune. E abbiamo dovuto mettere in comune i problemi ecologici. E assieme al paese confinante dobbiamo trovare delle soluzioni. Questo, gli svizzeri, lo sanno da sempre: non ci sono problemi territoriali che possano risolvere da soli.

La Svizzera è stata costruita, volontariamente.

Dal 1848 fino alla metà del 20esimo secolo vi è stato uno sforzo costante di costruire uno spirito patriottico, il sentimento e l'orgoglio nazionale.

Si sono anche creati miti, prendendoli a prestito dal passato, che avevano poco a che fare con la storia svizzera.

Eppure non vi sono dubbi che in quel periodo si è molto lavorato alla costruzione dell'identità svizzera. E di pari passo si è idealizzato il nostro passato.

La leggenda racconta gli svizzeri come eroici, saggi, capaci di convivere in pace.

Ma i miti non possono durare all'infinito: negli ultimi anni abbiamo dovuto fare i conti con un passato della Svizzera fatto anche di debolezze e ipocrisie.

È un bene che un paese possa affrontare il proprio passato e voglia vederci chiaro. È un segno di attaccamento al proprio paese, contrariamente a quanti affermano che ogni critica indebolisce l'unità nazionale. L'indifferenza, non la critica, indebolisce una nazione che si è costruita sulla volontà delle persone di stare assieme.

La costruzione della Svizzera ha tenuto conto delle lingue e delle culture. Le differenze linguistiche non hanno impedito la costruzione della Svizzera e lo sviluppo di un linguaggio comune tra gli svizzeri. Modi di essere, di pensare, un insieme di gesti che sono familiari, nei quali riconosciamo il nostro essere svizzeri. Paradossalmente, quando i contatti tra gli svizzeri non erano così frequenti, il problema linguistico era molto meno sentito.

Le diversità linguistiche creano ovviamente problemi pratici. Ma ho spesso l'impressione che il Röstigraben sia una invenzione. Anche se la stampa ne parla volentieri.

È vero esiste una linea di demarcazione tra le diverse culture, svizzero-tedesca, svizzero-francese e svizzero-italiana, ma il vero problema è altrove. Nel rapporto che queste stesse culture hanno con i loro "potenti" vicini, la Germania, la Francia e l'Italia. Lo stesso problema che tutta l'Europa ha con quella cultura omologata made in USA, in realtà un miscuglio di culture, intesa come linguaggio, abitudini, mode e prodotti dai quali siamo inondati.

Questa globalizzazione , che diventa omogeneità culturale, che diventa uniformità nei programmi televisivi, nel cibo, nelle letture, nel cinema, è un tema che dovrebbe preoccuparci e occuparci ben più del mitico Röstigraben.

L'integrazione tra le diverse culture e lingue della Svizzera sono state e continuano ad essere una ricchezza per gli svizzeri. Perché sono un incoraggiamento all'apertura, al capire cosa succede fuori dalla nostra porta, nel resto della Svizzera. Questo scambio tra le diverse culture, tra le diverse lingue ha creato coesione, molto più del mito di Guglielmo Tell. Coesione, perché ha creato comprensione reciproca, apertura.

Non vi è antitesi tra il parlare e il capire (o cercare di capire) le lingue nazionali e cercare di capire anche una delle principali lingue mondiali: l'inglese. Non andrà perduta l'identità svizzera insegnando anche l'inglese. Proprio perché l'identità svizzera non è fatta di una lingua specifica, ma è fatta della capacità di capirsi al di là delle diverse lingue che parliamo.

Il nostro essere profondamente svizzeri non è minacciato da una lingua in più, non è minacciato dal fatto che ci apriamo al resto del mondo. La vera minaccia, o il vero errore, sarebbe di chiudersi al resto del mondo.

Rischieremmo di non capire i grandi cambiamenti in atto.

E nessuno vorrebbe essere sorpreso da cambiamenti ai quali non ha partecipato, o che non ha almeno tentato di capire o influenzare.

Cercare di mantenere e conservare quello che abbiamo non basterà come progetto per il futuro.

Se ci affacciamo alla finestra i grandi temi del futuro sono già lì. La vitalità della Svizzera, e quindi la sua prosperità, richiedono di avere un progetto per il futuro della nostra nazione.

La caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda hanno rappresentato anche per la Svizzera la fine di un'epoca. Le relazioni internazionali sono profondamente mutate ed è iniziata la fase che chiamiamo della globalizzazione.

Per globale si intende che concerne tutto il mondo, e questo vale per gli aspetti positivi (come lo scambio di idee, di informazioni, di valori), ma anche per gli aspetti negativi. La maggiore mobilità dei capitali ha indotto grandi migrazioni di posti di lavoro e ha causato l'intensificazione dello sfruttamento delle risorse, anche naturali.

Vi sono paesi che sono diventati più ricchi, altri che sono diventati più dipendenti dagli investitori internazionali.

Quel che è certo è che per molti esseri umani al mondo la globalizzazione non significa maggior benessere. Anzi! E così cercano di sfuggire a condizioni di vita sempre più misere. Questo provoca ondate di migrazioni verso i paesi più ricchi. Queste migrazioni cesseranno solo quando nelle regioni povere ci saranno condizioni almeno decenti e la prospettiva di un futuro migliore.

Che lo vogliamo o no, non possiamo semplicemente chiudere gli occhi davanti a questi grandi cambiamenti. Perché succedono comunque. Se riusciamo a prendere parte alla discussione, alle decisioni, assieme agli altri paesi, se non ci isoliamo nella convinzione che il nostro essere Sonderfall, caso particolare, ci proteggerà, possiamo progettare il futuro del nostro paese. Se chiudiamo gli occhi e le porte, finiremo con il subirlo, il futuro.

Ma non possiamo starcene sempre in disparte. Tutti gli stati aderiscono all'ONU a parte la Svizzera e il Vaticano. Con una battuta potrei dire che il Vaticano non ne ha bisogno perché è uno stato che da sempre "pensa globalmente".

La discussione attorno alla nostra adesione all'ONU (saremo chiamati a votare probabilmente la prossima primavera) è una opportunità per discutere anche del futuro della Svizzera.

Perché vi sono problemi che devono essere affrontati assieme agli altri paesi. Per chi governa è sempre più evidente che la maggior parte dei grandi problemi non possono essere risolti o decisi da uno stato o da regolamentazioni transfrontaliere.

La vostra regione - il Mendrisiotto - è sommersa dal traffico, ma è un'illusione che la Svizzera possa risolvere questo problema da sola. Dovremmo chiudere le frontiere, imporre dazi doganali tali da rendere dispendiosissimo l'attraversamento delle Alpi sulla strada. Ma se lo facessimo le ritorsioni da parte dei paesi che ci stanno attorno sarebbero furiose.

La Svizzera deve fare quello che ha sempre fatto, deve negoziare. Ma lo deve fare con dignità.

Non tutti sanno che nelle assemblee delle Nazioni Unite non possiamo neppure prendere la parola, se gli altri stati non ce lo permettono. Non è certo una posizione dignitosa per negoziare.

Eppure sono le Nazioni Unite che hanno promosso un primo accordo in materia di sviluppo e crescita parlando di sviluppo sostenibile o durevole: che significa che progresso e crescita economica non possono e non devono essere a carico delle generazioni future.

Nell'Agenda per lo sviluppo (ONU 1997) si afferma che lo sviluppo economico, la giustizia sociale e l'utilizzazione rispettosa dell'ambiente sono strettamente interdipendenti e si rafforzano vicendevolmente.

La Svizzera sa bene di cosa si parla, tutta la storia svizzera è costruita sull'equilibrio tra sviluppo economico e sicurezza sociale, sull'equilibrio tra crescita economica e rispetto per l'ambiente.

Non è immaginabile che si resti al margine di queste discussioni, che la Svizzera debba lasciar decidere agli altri il suo futuro.

Se guardiamo indietro, la nostra storia ci insegna che gli svizzeri hanno da sempre saputo aprire gli occhi, spesso anticipando gli avvenimenti.

Gli svizzeri nel passato hanno saputo anticipare, hanno saputo negoziare la propria autonomia con orgoglio. Perché sapevano in che direzione andare, avevano un progetto per la Svizzera.

Un progetto che dia concretezza ai valori che abbiamo voluto ancorare nella costituzione federale e cantonale: libertà, democrazia, solidarietà, giustizia sociale, responsabilità verso le generazioni future.

Un progetto per il futuro di cui essere orgogliosi davanti ai nostri figli.

 

Patrizia Pesenti
Consigliere di Stato

Vice presidente del Governo