Il Maggio di Alice

Il tossicodipendente in famiglia

 

Lugano, 8 maggio 2002


 

Signor Pezzoli

Gentili signore egregi signori,

quando il direttore di Antenna Alice, Lorenzo Pezzoli,

mi ha invitato a partecipare ai lavori di questo primo pomeriggio, ho accettato con molto piacere.

I tre temi proposti affrontano il tema, complesso, della tossicodipendenza, da tre punti di vista. E forse proprio per il fatto di essere tre i punti di partenza per la riflessione, dicono già la cosa più importante:

la tossicodipendenza è qualche cosa di complesso, intrecciata alle vicende delle persone, delle famiglie, di noi tutti.

Condivido appieno questo approccio: oggi parlerete di famiglia, poi di doppie diagnosi, dove l'accento sarà più clinico,

per affrontare infine un tema cruciale: il modello di società nel quale viviamo ("La società dipendente").

Sono strade dalle quali si può passare per riflettere, per tenere conto anche dei cambiamenti avvenuti nel mondo della tossicodipendenza. Dove le persone cambiano, cambia la cultura, cambiano le sostanze e il modo di assumerle. E per fortuna cambia anche l'approccio da parte dello Stato e delle associazioni che assieme si occupano di questo fenomeno.

 

Certo io preferisco passare dalle strade più olistiche, che tengono conto della situazione familiare, che considerano il fatto che nessuna persona è da sola su un palcoscenico, ma vive in un sistema, dal quale dipende e che a sua volta influenza.

Così come credo che il modello di società nel quale viviamo non sia estraneo al nostro grado di benessere, rispettivamente disagio. Ho visto che nella terza giornata parlate del disagio, della società sempre più competitiva, della meritocrazia esasperata. Occorre fare attenzione a non ribaltare le scelte individuali sulla "società". Non serve a molto. Nel contatto con il singolo occorre partire ancora da lui, dalla sua famiglia. Dal suo modo di porsi in questa di società. Visto che non abbiamo molte scelte.

Ma capisco bene che i grandi problemi sociali che incombono e sembrano peggiorare di anno in anno, non sono estranei al benessere delle persone, dei giovani. Il lavoro diventa sempre più precario, le condizioni di vita risentono moltissimo delle condizioni sempre più crude nel mondo del lavoro. La precarietà, la paura e i rischi ai quali siamo sottoposti sempre di più lasciano tracce. Lasciano per strada i più deboli, quelli con poche difese, quelli che non hanno avuto probabilmente pari opportunità alla linea di partenza.

Ma non è quello che volevamo? Abbiamo enfatizzato la competizione e continuiamo a farlo, come possiamo stupirci che se tutti corrono e competono qualcuno perde?

Se accettiamo un modello di società dove bisogna competere per sopravvivere, ammettiamo che non possono vincere tutti. Quando facciamo competere gli essere umani uno con l'altro, accettiamo che alcuni non arrivino al traguardo.

Se promuoviamo situazioni di disagio, di profonda ingiustizia, non possiamo aspettarci che tutte le persone, tutti i giovani stiano bene, si sentano integrati.

Lo stesso vale per la famiglia. Pretendiamo che assolva al suo compito di integrazione sociale, di educazione. Ma siamo sicuri che le condizioni in cui vivono le famiglie permettono davvero questo importante ruolo? Le famiglie sono sempre più fragili, rese fragili dagli stili di vita, che sono spesso anche delle scelte, ma anche dalle forme di lavoro, che raramente sono vere scelte. L'economia chiede il suo tributo anche alle famiglie, le persone devono lavorare. Aumenta anche in Ticino il numero di chi lavora in modo precario, di chi ha lavori mal pagati. La povertà infantile è una realtà drammatica, con cui la Svizzera deve fare sempre più i conti.

I problemi di mancata integrazione non sono solo slogan politici che certi sventolano come bandiere per cercare il consenso di un elettorato arrabbiato, non solo in Svizzera. Mancata integrazione dei giovani stranieri significa anche più devianza, più aggregazione attorno a modelli di tossicodipendenza. Chi non riesce a farsi accettare "trova casa" nei gruppi di tossicodipendenti.

Come vedete, probabilmente anche perché per molti anni mi sono occupata di giovani delinquenti, ma che molto raramente lo erano davvero, il mio approccio passa dal mondo in cui un giovane vive. Dal contesto educativo nel quale è cresciuto, dove si vede bene a volte l'interrompersi di un discorso educativo, la mancanza di un adulto che indichi un'altra strada possibile.

L'approccio medico è importante, soprattutto quando si parla di doppie diagnosi. Tendenzialmente sono sempre più scettica verso quello che mi sembra la medicalizzazione dell'esistenza. Ci lamentiamo di non poter più sostenere le spese del sistema sanitario, ma non esitiamo a medicalizzare tutti i normali processi dell'esistenza: la nascita, la morte, la sessualità, l'invecchiamento, l'infelicità e la tossicodipendenza. Tutto può essere medicalizzato.

Parlo di questo perché proprio recentemente una commissione di cui faccio parte, la Commissione dei principi dell'assicurazione malattia, si sta occupando del finanziamento tramite la LAMal delle cure per la tossicodipendenza. Già viene finanziata la somministrazione di eroina, pur a precise e severe condizioni.

Ma al di là del tema del finanziamento, anche se resta di cruciale importanza nel sistema sanitario, sarebbe buona cosa se ci interrogassimo sulla possibilità di de-medicalizzare almeno un po' l'esistenza.

Nel Piano degli interventi nel campo delle tossicomanie, approvato dal Governo per gli anni 2001-2004, questo tentativo viene fatto. Molto spazio è dato alla prevenzione. A una prevenzione centrata sui singoli problemi e sulle sostanze occorre integrare una prevenzione che metta al centro la persona e il bisogno di ricercare il senso della propria vita.

Sempre nel piano di interventi si riconosce che le cause della dipendenza e i percorsi verso l'autonomia sono molteplici. Non esiste nessuna terapia di prima scelta. Si tratta in ogni caso di prendersi cura della persona nella sua interezza. Gli approcci sociali e psicoeducativi convivono con quelli basati sulla sostituzione farmacologica.

Negli ultimi anni abbiamo capito che nessuno aveva la ricetta per affrontare un fenomeno tanto complesso come quello della tossicodipendenza. Complesso come è complessa la natura umana. Complesso come lo sono le biografie, i percorsi, le vicende umane.

Alcuni credono ancora di avere la ricetta, l'unica, quella buona, in tasca. Ma non riescono più ad imporsi. La drammaticità delle situazioni, l'impossibilità di venirne a capo se non con grande umiltà, ci ha insegnato che se davvero vogliamo capire, aiutare, dobbiamo essere modesti. Nessuno può pretendere di scalare una montagna con un balzo: occorre, che lo vogliamo o no, salire passo per passo, senza l'arroganza di chi vorrebbe aver già capito tutto.

Ecco perché tre pomeriggi di studio, di approfondimento sono molto importanti. Perché non abbiamo ancora finito di capire cosa succede e perché la realtà continua a cambiare sotto i nostri occhi. E allora dobbiamo continuare a riflettere.

In questo senso i ringraziamenti verso chi ha voluto organizzare

 

Patrizia Pesenti

Consigliere di Stato