CONVEGNO CREDIT AU LAC
Lugano, 17 maggio 2002

L’impatto dei cambiamenti internazionali sul Ticino

Intervento della Consigliere di Stato Patrizia Pesenti

Gentili Signore,
Egregi Signori,

è per me un grande onore portare il saluto dell'autorità cantonale a questo convegno. A nome del Consiglio di Stato intendo ringraziare sentitamente gli organizzatori.

Nel mio intervento vorrei partire

E' innegabile che durante gli anni '80 e '90 vi è stata una forte accelerazione di alcune dinamiche di cambiamento riassumibili in tendenze demografiche e sociali, ambientali e territoriali, economiche, tecnologiche e scientifiche.

Su queste tendenze si sono innestati, in tempi più rapidi, nuovi e profondi cambiamenti.
Penso alle tecnologie della comunicazione e dell'informazione, alle nuove scoperte scientifiche, ma anche alla mappatura del genoma umano.
Questi cambiamenti hanno avuto per effetto di aumentare la complessità della società moderna e di rendere di colpo ancora più incerta la politica da seguire.

Diventa quindi più difficile dare una risposta valida ai bisogni e alle aspettative che i cittadini hanno verso lo Stato e la politica. 

Le caratteristiche di questi cambiamenti si possono così riassumere:

Sono cambiamenti dal carattere molto pervasivo. Nel senso che si stanno diffondendo in tutti i settori della società, coinvolgendo i cittadini, le istituzioni e le imprese.

Tra l'altro con effetti che in taluni ambiti vitali (ad esempio l'ingegneria genetica) sono ancora molto incerti o ignoti.

Da qui la necessità, per le politiche pubbliche, di dotarsi di una strategia che sappia anticipare. Che permetta un equilibrio nelle tre dimensioni determinanti dello sviluppo: quella economica, quella sociale e quella ambientale.

E' il principio dello sviluppo durevole (o sostenibile).

Una prospettiva indispensabile se vogliamo coniugare efficienza economica e equità sociale, e preservare l'ambiente di vita naturale.

Il modello è stato fatto proprio dal Consiglio federale nel programma di legislatura 1999-2003.

I limiti imposti all'azione dello Stato nazionale riguardano ovviamente anche un paese come la Svizzera che, pur non facendo parte dell'Unione europea, non può non adeguarsi a una realtà in piena mutazione. La via scelta dalla Confederazione e dal popolo, in ambito europeo, è quella degli Accordi bilaterali che entreranno in vigore il 1. giugno e comporteranno importanti fattori di cambiamento e soprattutto di rischio. Non sappiamo ancora veramente quali effetti avrà la libera circolazione delle persone sul nostro mercato del lavoro.

Pensando a questi cambiamenti, a mio modo di vedere due questioni mi paiono prioritarie: 

1.    individuare di seguito il ruolo dello Stato nell'ambito di uno sviluppo durevole.

2.    ridefinire il ruolo di "servizio pubblico" all'interno dei mutamenti che stanno cambiando la società e le istituzioni;

Il tema della liberalizzazione e della privatizzazione è all'ordine del giorno. Se ne parla molto, ma male, nel senso che spesso si assiste a una vera e propria guerra ideologica. Personalmente credo che le esperienze attuate in vari paesi non permettono di trarre conclusioni univoche.

In generale si può dire:

Ogni riforma relativa a liberalizzazioni e privatizzazioni dovrebbe essere preceduta e seguita da bilanci seri dei costi e dei vantaggi dal punto di vista dei cittadini e consumatori. Purtroppo questo non viene quasi mai fatto seriamente.

Lo stesso vale per i servizi pubblici. I servizi pubblici, giova sottolinearlo, possono essere determinanti per l'efficacia produttiva dell'intera economia.

Penso in particolare quelli caratterizzati da una " messa in rete": telecomunicazioni, elettricità ed energia, trasporti e ferrovie, servizi postali. Fanno parte del territorio e in quanto tali contribuiscono alla coesione sociale.

Questi servizi, in altri termini, materializzano delle solidarietà sociali. La connessione in rete è spesso necessaria al mantenimento di un legame sociale. L'assenza di connessione, al contrario, appare come un segno di esclusione.

In questo senso il servizio universale non è solo un'idea ereditata dal 19. secolo all'epoca della creazione delle Ferrovie federali e della Posta svizzera.

Ritorna ad essere un'idea moderna pensando ad esempio alle tecnologie di comunicazione e di informazione. L'accesso di tutti i cittadini a queste nuove tecnologie deve essere garantito. In una società democratica è inammissibile che si crei un divario tra chi ha e chi non ha accesso alla rete delle reti. Il digital divide  può diventare un problema molto serio e difficile da gestire.

Anche per le stesse imprese, oggi avere accesso alle reti sta diventando importante quanto nell'era industriale era importante godere di un vantaggio strategico sul mercato. Come ha osservato l'economista B.A. Lundwall, nelle "economie basate sulla conoscenza(learning economies)

 il problema della crescita è sempre più un problema di accesso alle risorse, piû che di risorse ".

la questione cruciale non è tanto quella di togliere allo Stato ambiti e funzioni, ma di costruire un " mercato" che sia in grado di fare i conti con la nuova realtà e nel contempo di ridisegnare un nuovo spazio pubblico.

Tutte le discussioni sul cosiddetto big governement o meno stato sembrano già antiche.

Il sociologo Alain Touraine ha riassunto bene la questione: Tanto lo Stato produttore deve farsi da parte, tanto lo Stato integratore deve rafforzarsi. Più l'economia è aperta e competitiva, più grandi sono i rischi di disintegrazione sociale e, di conseguenza, più lo Stato deve farsi carico di favorire sia il rafforzamento del "corpo di battaglia tecnologico" che delle solidarietà sociali.

In definitiva, Alain Touraine ci dice che occorre ridefinire gli equilibri 

tra competitività e solidarietà,
tra efficienza economica e equità sociale,
tra rendimento e coesione sociale.

Questa linea di indirizzo può trovare applicazione anche in Ticino, regione-cerniera tra Nord e Sud.

Il Ticino non può ovviamente sfuggire ai cambiamenti in atto internazionalmente. Anzi, ne è già al centro (e non solo in tempi recenti), se solo pensiamo alla questione delle vie di transito.

D'altra parte, il peso economico e politico del cantone Ticino è quello che è. Questo peso non gli permette di certo di influenzare in qualche misura il corso degli eventi.

Il Ticino può, però, inserirsi in questi cambiamenti, adottando non soltanto delle politiche reattive, ma in modo più attivo, partendo dalle sue potenzialità, dalle carte vincenti che sono già presenti sul territorio.

Sotto questo profilo negli anni '90 sono stati realizzati in Ticino importanti progetti. In poco tempo sono state create un'Università e una Scuola universitaria professionale accanto alle quali, ma in modo indipendente, si è sviluppato un polo tecnologico di rilievo internazionale con il Centro svizzero di calcolo scientifico, l'Istituto di ricerca in biomedicina e l'Istituto oncologico della Svizzera italiana.

Formazione e ricerca di alto livello da un lato e dall'altro la valorizzazione delle risorse umane devono costituire l'asse prioritario su cui costruire il futuro del cantone.  

Questa strategia deve però fare i conti con la posizione geografica del Ticino ancora oggi determinante sia in ambito economico (terziario, industriale), che territoriale (trasporti, vie di comunicazione) e socioculturale (Cantone svizzero ma di lingua e cultura italiana).

Ma è anche questa posizione che fa del Ticino una regione dipendente: le sue possibilità di influenzare i numerosi cambiamenti che derivano da questa posizione sono piuttosto limitati. Anche perché i centri decisionali sono principalmente di competenza nazionale (Confederazione) e internazionale (Unione europea).

Questo significa che il Cantone non può più far dipendere il proprio sviluppo da questa posizione tra Nord e Sud.

Per dirla in altri termini, il Ticino può e deve andare oltre i concetti di spazio d'intermediazione tra Nord e Sud o di economia di connessione.

Per dirla in altre parole il Cantone non può più trarre a proprio vantaggio questa posizione come in passato in termini di posizione di rendita. Deve sforzarsi invece di sostenere quei segmenti produttivi e di servizio che possono trasformare quella posizione in valore aggiunto.

Ciò concerne in particolare il settore dei servizi (piazza finanziaria, logistica, trasporti), ma non solo.

Purtroppo questa posizione tra Nord e Sud comporta sempre di più una serie di fattori negativi: penso soprattutto alle vie di comunicazione intasate, con quello che significa in termini di inquinamento e salute delle persone.

La ricerca di un equilibrio in questo settore sarà molto, molto difficile.

Si può ben dire che la posizione tra Nord e Sud implica contemporaneamente due tipi di politiche pubbliche, e che queste politiche possono anche essere conflittuali l'una con l'altra: da un lato vi è la necessità di promuovere e dall'altro di conservare e proteggere.

Anche in questo ambito si pone dunque la necessità di un equilibrio, ossia di uno sviluppo sostenibile e durevole.

Consentitemi, in conclusione, di soffermarmi sulle politiche sociali e del lavoro, investite dai cambiamenti in atto.

La flessibilizzazione del mercato del lavoro ha messo in crisi i fondamenti stessi dello Stato sociale. Nell'attuale ciclo economico non è tanto la disoccupazione, espressa nelle statistiche ufficiali, a preoccupare quanto piuttosto la precarietà, l'instabilità e l'insicurezza dell'impiego.

Alla riduzione e all'attuale stabilizzazione del tasso di disoccupazione non ha corrisposto (e non corrisponde tuttora) una riduzione del tasso di precarietà del lavoro. Quello che vediamo dai dati a nostra disposizione è che la ripresa economica ha riassorbito la disoccupazione a costo di una maggior precarietà e instabilità dell'impiego.

In Svizzera ed anche in Ticino negli anni '90 si è assistito ad una marcata estensione delle forme atipiche di lavoro (lavoro a tempo parziale, lavoro a tempo determinato, lavoro interinale e lavoro su chiamata) nonché ad una diffusione di forme di lavoro autonomo.

Il problema principale è costituito dal fatto che queste nuove forme lavorative si collocano al di fuori delle reti classiche di protezione sociale.

Si tratta quindi di intervenire innanzitutto a sostegno di coloro che sono esclusi dalle prestazioni sociali  a causa del loro statuto lavorativo, elaborando forme di mutualizzazione dei problemi condivisi, quali la ricerca di lavoro, l'aggiornamento professionale, la prevenzione delle patologie legate all'insicurezza, l'insufficiente copertura assicurativa e la cura dei figli.

La sfida che si pone consiste, dunque, nel gestire la transizione da un sistema sociale centrato sulla nozione di impiego stabile e di lavoro salariato a un sistema economico sempre più differenziato e attraversato da forme di lavoro ibride.

La strategia di modernizzazione delle garanzie sociali, fatta propria dal Consiglio di Stato nelle Linee Direttive 2000-2003, mira ad evitare che chi è già svantaggiato finisca con il subire l'esclusione sociale.

Anche perché il grado di benessere di una società non lo si può misurare unicamente sulla base di indicatori economici, in primo luogo il PIL, che forniscono quasi sempre solo dati quantitativi.

Una riforma fondamentale sarebbe quella di introdurre accanto all'indice del PIL, che in fondo dice sempre meno, un indice composito di traguardi desiderabili e possibili, nei settori essenziali per il benessere dei cittadini: il lavoro, la salute, la sicurezza, l'ambiente.

In società ricche come le nostre il benessere dei cittadini non è legato solo alla congiuntura economica.

È legato soprattutto alla fiducia nella capacità di anticipare e affrontare i grandi problemi che vediamo arrivare.

Dare un senso alla crescita economica, significa fondare un nuovo concreto consenso tra i cittadini.

 

Patrizia Pesenti
Consigliere di Stato