Formazione, ricerca e politica sanitaria

Patrizia Pesenti, Presidente del Consiglio di Stato

 Lugano,  24 maggio 2002


Egregio Segretario di Stato,

Gentili signore e signori,

 

La salute costituisce, assieme alla formazione, una risorsa ed un bene fondamentale. Infatti, la mancanza di salute, così come la mancanza di formazione, sono chiari svantaggi che coinvolgono e determinano ulteriori svantaggi in altri ambiti della vita come il lavoro.

Per questo motivo Amartya Sen (premio Nobel per l'economia 1998) ha costruito la sua teoria della giustizia postulando la necessità di garantire a tutti i cittadini alcuni diritti fondamentali, fra i quali appunto l'accesso alle prestazioni sanitarie ed alla formazione.

L'opera di Amartya Sen segna il passaggio da una visione utilitarista della giustizia ad una visione più ampia che chiama in causa il concetto dello star bene (well-being).

Gli economisti del settore pubblico hanno coniato per la salute il termine di bene meritorio per definire un bene il cui consumo da parte dei cittadini non dovrebbe dipendere in primo luogo dal reddito e dal patrimonio bensì dal bisogno.

Le democrazie più evolute hanno capito il valore dei beni meritori per lo sviluppo sociale di una nazione ed hanno deciso di gestire il finanziamento dei servizi sanitari di base secondo la massima: paghi chi può a favore di chi ha bisogno.

Di conseguenza la politica sanitaria assume una delicatezza tutta particolare, dettata dalla necessità di coniugare tre obiettivi: efficienza, efficacia, equità.

Tre obiettivi che tuttavia per loro stessa natura sono in conflitto fra di loro. Lo scopo della politica sanitaria è dunque di garantire a tutti i cittadini l'accesso a prestazioni adeguate ed efficaci.

E di distribuire equamente gli oneri di finanziamento.

Onere di finanziamento che deve tenere conto delle disponibilità finanziarie del settore pubblico che, in questi ultimi anni devono essere continuamente giustificate e difese dall'ideologia del ridimensionamento dello Stato.

L'istituzione di meccanismi di solidarietà (sia di carattere assicurativo che ridistributivo) nel finanziamento dei servizi sanitari pone seri problemi sul fronte dell'efficacia e dell'economicità.

Il prezzo che l'utente di una prestazione è tenuto a pagare al momento del consumo rappresenta una piccola frazione del costo totale della prestazione. Questo determina una disparità fra i benefici (quasi interamente a vantaggio del destinatario della prestazione) e i costi che, essendo socializzati, tendono ad essere sottovalutati dal singolo.

Inoltre, sul cosiddetto mercato sanitario, l'operatore che eroga la prestazione sanitaria dispone di un notevole vantaggio informativo nei confronti di chi la riceve.

Il paziente, in altre parole, non è in grado di esprimere valide preferenze di consumo e di valutare il valore effettivo della prestazione erogata (in termini di qualità e di appropriatezza).

Nella sanità il mercato e la concorrenza, non sono in grado di assicurare un'allocazione efficiente delle risorse e l'equità d'accesso.

E' quindi necessario istituire sistemi esterni di regolazione che la totalità dei paesi industrializzati europei ad economia di mercato ha affidato allo Stato. Stabilire quale sia il trade-off ottimale tra questi tre obiettivi (ossia, per esempio, a quanta equità sia opportuno rinunciare per mantenere efficiente ed efficace il sistema) è un compito di carattere normativo, e come tale compete alla sfera politica (intesa come luogo di mediazione dei differenti interessi).

Non svelo nessun mistero costatando che la politica non è finora riuscita a svolgere quel ruolo di mediazione tra efficienza, efficacia ed equità (in particolare contributiva) che la grande maggioranza dei cittadini si attende.

La revisione della Legge sull'assicurazione obbligatoria contro le malattie non porterà alcun sollievo alla spirale inflazionistica dell'aumento dei costi sanitari. La revisione proposta (a parte l'aspetto della libertà di stipulare contratti tra assicuratori e medici) non fa che trasferire certi oneri dagli assicurati con complementari alla fiscalità! Ci si può interrogare sul perché in un momento di tale emergenza riguardo ai costi della sanità, il legislatore federale si limita ad alleggerire l'onere finanziario sopportato attraverso i premi per trasferirlo alla fiscalità. Un obiettivo condivisibile perché tramite la fiscalità ognuno paga proporzionalmente alla sua forza finanziaria. Ma il trasferimento non risolve il problema di un sistema di finanziamento misto che di fatto funziona male! Motivi di ordine ideologico?

Conflitti di interesse che non emergono mai nel dibattito politico?

O la spada di Damocle rappresentata dal dover passare davanti al popolo sovrano?

Certo è che il dibattito politico è a dir poco pietrificato attorno agli stessi elementi e il processo decisionale che molti cittadini attendono di fatto è inibito.

Il settore sanitario è un settore dominato dall'offerta e di conseguenza il controllo della crescita della spesa non può non passare che dalla regolazione dell'offerta.

Tanto più che oggi assistiamo ad un fenomeno nuovo, le cui conseguenze non sono ancora prevedibili, ma estremamente inquietanti.

Da circa un anno le più importanti riviste mediche del mondo dibattono in modo critico sulla crescente opera di persuasione che l'industria, in particolare farmaceutica, sta conducendo direttamente verso i consumatori potenziali e reali di beni e servizi sanitari. Al marketing destinato ai medici si è aggiunto quello per influenzare direttamente i consumatori. La miscela diventa a dir poco "esplosiva".

Perché oltre all'induzione da parte dell'industria verso i medici che influenzano la domanda nell'ambito del normale rapporto medico-paziente, oggi assistiamo ad una preoccupante medicalizzazione della vita ed all'estensione del concetto e della definizione di malattia.

Fino a poco tempo fa si parlava di costruzione sociale delle malattie. Oggi diventiamo spettatori della costruzione aziendale delle malattie.

Sembrerebbe che il miglior marketing è quello che convince i sani di essere ammalati.

Non è una storia così nuova: ci aveva già pensato il dottor Knoch di Jules Romain. Ma ora la differenza sta nel fatto che si è davvero passati all'azione.

Un recente numero monografico del British Medical Journal dal titolo "Too much medicine" ne dà eloquenti e preoccupanti esempi. Questo meccanismo che mira a medicalizzare problemi umani assolutamente normali produce inutile angoscia nelle persone mettendo anche a rischio la loro salute e il loro benessere. Ormai tutti i normali passaggi dell'esistenza sono stati medicalizzati: dalla nascita, alla crescita, alla sessualità, alla menopausa, la tristezza, la vecchiaia, alla morte. Inutile dire che la tendenza a medicalizzare e creare bisogni sanitari farà esplodere il sistema sanitario. Mai e poi mai avremo risorse sufficienti per finanziare ogni bisogno suggerito dal marketing delle aziende.

Se l'individuo del 19. secolo, assediato dalle epidemie, dalla scarsità e dalla criminalità, si riteneva impotente nel combattere i rischi, quello del 21. secolo dovrebbe sentirsi ben più rassicurato grazie al progresso scientifico, al welfare diffuso ed alla civiltà della comunicazione.

Ricercatori hanno al contrario constatato che l'angoscia individuale e sociale verso ogni tipo di rischio tende invece a crescere. Questa tendenza è spiegata dal fatto che oggi le persone hanno la percezione di avere molto di più da perdere.

L'avversione al rischio degli esseri umani è qualcosa che ha certamente contribuito alla civilizzazione, oltre che a fare la fortuna delle compagnie di assicurazione. Il fatto nuovo invece è quello che oggi il mercato sanitario sta medicalizzando il rischio. In cambio dell'impiego di enormi risorse finanziarie promette non un risarcimento monetario, bensì la guarigione. La medicalizzazione del rischio produce una moltitudine di screening, specialmente centrati sulle malattie incurabili. E la diffusione di messaggi verso la società civile che trasformano condizioni normali della vita alla dignità di patologie, facendoci credere che non sono sufficientemente diagnosticate e che possono essere trattate. Inutile dire che i costi diretti e indiretti per i sistemi sanitari e quindi per i cittadini potrebbero essere devastanti.

Sono sempre più persuasa dell'urgenza di un'azione di tipo culturale intesa a ricondurre le attese verso l'efficacia della pratica medica e dei sistemi sanitari alla realtà fondata sull'evidenza.

In quest'ottica assume un ruolo importantissimo la ricerca

per illuminare le dinamiche ed i processi.

La ricerca per proporre soluzioni a problemi reali, e a formare degli operatori.

Una formazione che non sia limitata all'apprendimento di alcuni strumenti tecnici (pur necessari) ma che comporti anche una crescita equilibrata e critica del sapere verso una cultura sanitaria diversa.

In questi anni il settore sociosanitario ha vissuto importanti cambiamenti ed altri altrettanto importanti sono in atto.

Un programma formativo come il MEGS ha senz'altro contribuito, e ancor più mi auguro continui in futuro, a rendere fertile il terreno affinché anche la riorganizzazione dei rapporti che intercorrono tra lo Stato e le istituzioni che erogano servizi alla persona possa prodursi senza traumi di sorta, in modo costruttivo e rispettoso dei fragili equilibri che contraddistinguono questo settore.

All'inizio di quest'anno l'Università della Svizzera italiana è entrata a far parte di una rete nazionale di competenze nel campo dell'economia e del management sanitario.

Si tratta di un riconoscimento importante che premia la politica di investimento in capitale umano condotta dalla Facoltà di economia in questi anni.

Il programma di formazione del MEGS continuerà dunque anche in futuro. Anche se sarà soprattutto la Facoltà di economia dell'USI ad assumerne la promozione e lo sviluppo.

Il fatto di partecipare ad una rete nazionale permetterà di valorizzare anche le competenze ed le esperienze acquisite in questo campo da altri atenei svizzeri.

Anzi mi auguro che gli altri atenei possano beneficiare della creatività e dell'innovazione che ci contraddistingue.

Quello che spero è che i ricercatori della nostra università possano partecipare più attivamente allo sviluppo della politica sanitaria sul piano nazionale.

Come lo hanno già fatto sul piano cantonale grazie ad alcune ricerche libere dell'USI che hanno fornito spunti di riflessione ed indirizzi e si sono rilevate strumenti preziosi proprio nella politica sanitaria cantonale.

 

Patrizia Pesenti
Presidente del Consiglio di Stato